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Perché
in alcuni casi l’aumento del reddito non aumenta la felicità?
La
felicità pubblica è l’ideale più importante della tradizione
dell’economia civile, ma questa concezione nel corso del
XIX è stata ridotta ad utilità, in questo modo la felicità pubblica
scompare dalla scienza economica per ben due secoli. Nei
primi anni ’70 del ‘900 la felicità è un argomento che
ricomincia a tornare in auge nella teoria economica, ma con una diversità: si comincia a “misurare la felicità” in questo modo viene messa in rapporto con altre tradizionali variabili economiche come il reddito, successivamente con la disoccupazione, l’inflazione. Questi studi hanno portato a risultati veramente paradossali ed ora è molto utile enunciare le teorie economiche dei principali studiosi che hanno contribuito a rilanciare gli studi sulla felicità.
ricomincia a tornare in auge nella teoria economica, ma con una diversità: si comincia a “misurare la felicità” in questo modo viene messa in rapporto con altre tradizionali variabili economiche come il reddito, successivamente con la disoccupazione, l’inflazione. Questi studi hanno portato a risultati veramente paradossali ed ora è molto utile enunciare le teorie economiche dei principali studiosi che hanno contribuito a rilanciare gli studi sulla felicità.
2.1. Richard Easterlin e Tibor Scitovski: il “paradosso della felicità”
Nel
1971, gli psicologi Brickman e Campbell attraverso la teoria
dell’adaptation level theory, affermano che i miglioramenti
delle circostanze oggettive della vita come reddito e ricchezza, non
producono effetti reali sul benessere delle persone.
Nel
1974, Richard Easterlin riprendendo studi empirici sulla felicità
delle persone apriva il dibattito sul “paradosso della felicità”.
Per condurre questa ricerca, Easterlin utilizzò due tipi di dati: i
primi erano forniti da questionari, i quali, inizialmente, furono
elaborati da World Survey, che si basavano su domande generali sulla
valutazione qualitativa della propria felicità; l’altra fonte
erano le indagini svolte da Cantril nel 1965 sulla paura, le speranze
e la felicità di quattordici Paesi del mondo, in questo modo i
soggetti intervistati dovevano autoclassificare la propria felicità
in una scala che va da 0 a 10, dove 0 indicava la peggiore vita
possibile e 10 la migliore vita possibile. Entrambe le ricerche si
basavano su autovalutazioni soggettive della propria felicità ed arrivarono in concreto agli stessi due risultati:
all’interno di un determinato Paese in un dato momento nel tempo
esiste una correlazione tra reddito e felicità ed è robusta;
inoltre, il confronto tra Paesi non mostrava correlazione tra reddito
e felicità e i Paesi più poveri non risultavano meno felici di
quelli più ricchi.
Easterlin,
per spiegare questi dati, utilizzò la teoria del “reddito
relativo” di Duensberry del 1949, la quale suppone che l’utilità
che una persona trae dal proprio consumo non è in funzione del
livello assoluto del suo consumo, ma di quello relativo, ossia il
rapporto tra il suo livello di consumo e quello degli altri. Tuttavia
se il suo reddito aumenta, ma ad esempio quello di un suo conoscente
aumenta di più, la sua utilità diminuisce a fronte di un aumento di
reddito e di consumo. Questa teoria è in grado di spiegare
perché la felicità tra Paesi non sembra dipendere dal livello
assoluto di reddito: se ciò che mi fa sentire felice è la
differenza tra i miei livelli di consumo e quelli dei miei conoscenti
allora un livello 10 può essere ottenuta sia da 30 – 20 nei Paesi
poveri che da 210 – 200 nei Paesi ricchi. Oggi molti autori si
occupano di economia e felicità si basano sull’ipotesi del reddito
relativo da Frank (1999), Ng (1997), Hollander (2001). Easterlin in
seguito ha sviluppato la sua teoria svolgendo indagini diacroniche
seguendo nel corso del tempo gruppi di persone studiate lungo il loro
ciclo di vita dalle quali sono risultati molti aspetti del paradosso.
Soprattutto il livello di felicità delle persone non varia negli
anni nonostante le condizioni economiche cambino nel corso della
vita.
Negli
ultimi anni Easterlin e molti altri economisti per sviluppare le loro
teorie prendono spunti dagli studi psicologici per cercare
spiegazioni più sofisticate per spiegare il paradosso, in questo
modo all’ipotesi del reddito relativo ha aggiunto la spiegazione
basata sull’adattamento edonico o teoria del set point, in base
alla quale sussiste un livello di felicità che rimane quasi costante
nell’arco della vita e ciò è dovuto a caratteristiche intrinseche
degli individui. Gli shock che si verificano nel corso della vita
hanno solo effetti temporanei sulla nostra felicità e dopo un breve
periodo nel quale l’evento produce effetti reali, siamo
ineluttabilmente portati a tornare al livello di riferimento, ossia
il set point. Infatti Brickmann e Campbel nel 1971 arrivarono
alla conclusione che le politiche economiche indirizzate al
miglioramento economico fossero inutili in rapporto al benessere
delle persone, perché i miglioramenti o i peggioramenti di reddito
hanno effetti di brevissima durata. Precisamente nel 1978 Brickman,
Coates, Janoff – Bulman, mostrarono che i vincitori di lotterie non
erano più felici rispetto a prima della vincita.
2.2. Sen e Nussbaum: la critica alla categoria dell’”happiness”
Nel
2003, Veenhoven e altri studiosi criticarono gli studi sul paradosso
della felicità e affermarono che il set point di felicità è
essenzialmente un fatto congenito che è legato alla personalità, al
carattere delle persone e per questo non siamo in presenza di un
paradosso se i livelli diversi di reddito generano la stessa
felicità: ciò spiega il motivo per cui siano più felici Paesi come
il Ghana o la Colombia di Francia e Italia.
Questo
approccio però è stato criticato da economisti e filosofi più
oggettivi come Sen e Nussbaum, i quali affermano che la felicità si
misuri non con apprezzamenti soggettivi della propria esistenza, ma
in base alle cose buone che una persona riesce oggettivamente a fare,
dai diritti politici alle libertà di espressione, dalla possibilità
di studiare, all’accesso all’acqua potabile o alla sanità di
base. Infatti Sen si chiede se il tenore di vita di una persona possa
essere alto se la vita che conduce è piena di privazioni e si nota
il disappunto che ha verso la cosiddetta categoria dell’happiness,
anche per il fatto che Sen ha una visione molto vicina alla
eudaimonia di Aristotele dove è messo molto in risalto il nesso
virtù – felicità; di conseguenza Sen considera l’happiness
in modo analogo al piacere, ossia, come nella visione classica, pone
al centro della sua teoria economica sulla felicità concetti che
riguardano la realizzazione umana, di cui le risorse e i beni sono
solo i mezzi per raggiungerla. Come afferma Aristotele nell’Etica
nicomachea la ricchezza non è il fine ultimo che viene cercato, ma
viene perseguita soltanto in vista di qualcos’altro di più grande.
Abbiamo ottime ragioni per desiderare un reddito o una ricchezza
maggiore e non perché ricchezza e reddito siano in sé desiderabili,
ma perché normalmente sono uno strumento per essere più liberi di
condurre il tipo di vita che apprezziamo. Sen però è anche
consapevole che non sempre e non automaticamente i mezzi si
trasformano in “fioritura umana”: tutta la sua teoria delle
capacità e dei funzionamenti affermano precisamente
che ciò che conta in termini di giustizia, uguaglianza e di liberta
che sono le variabili chiave per valutare il benessere, non sono
tanti i beni, quanto preferibilmente il modo in cui questi si
trasformano in capacità e funzionamenti; per fare un esempio se due
persone, a parità di risorse e beni economici, se una è sana e
l’altra è malata questi beni si trasformano in diseguali capacità
e funzionamenti e in diseguali libertà.
2.3. Kahnemann: i treadmill effects
Molti
studiosi ora sostengono che tra i beni opera un hedonic
treadmill secondo il quale l’aumento del reddito spinge
verso l’alto anche le nostre esigenze, proprio come in un tapis
roulant dove corriamo, ma stiamo sempre allo stesso punto.
Kahneman distingue due tipi di treadmill effect, ossia
l’hedonic treadmill e il satisfaction treadmill.
L’hedonic treadmill riprende in parte la teoria del livello di
adattamento, cioè quando una persona ha un reddito minore, si
accontenta di beni con prezzi più bassi per soddisfare le sue
esigenze, mentre quando il reddito aumenta invece il soggetto per
soddisfare la medesima esigenza preferirà un bene considerato di
lusso o in ogni caso con un prezzo più alto per soddisfare la
medesima esigenza che avrebbe soddisfatto con un bene più economico.
Il satisfaction treadmill invece dipende dal livello di aspirazione
che segna il confine fra i risultati soddisfacenti e quelli
insoddisfacenti; così quando aumenta il reddito accade che il
miglioramento induce i soggetti a richiedere continui e più intensi
piaceri per mantenere lo stesso livello di soddisfazione, in questo
modo la felicità soggettiva rimane costante nonostante la felicità
oggettiva migliori.
Questo
risultato in parte era stato intuito da Scitovski nella sua Joyless
economy, il quale sviluppava l’analisi motivo per cui l’aumento
dei beni e dei consumi nelle economie avanzate, non ci rende più
felici. Prendendo spunto dalla ricerca psicologica e sociologica si
basava sulla distinzione tra “comfort” e “stimulation”
(o creatività) che entrano normalmente in conflitto perché le
risorse che vanno all’uno si sottraggono all’altro; interessante
è anche il commento di Hirschman il quale affermò che le attività
relazionali possono allo stesso tempo essere sia stimolanti che
confortevoli.
I
soggetti indugiano molto sul comfort perché le
economie di scala impongono i gusti della maggioranza all’intera
collettività e comporta che una minoranza consapevole faccia molta
fatica a sottrarsi al consumismo e dall’altra che la maggioranza
resti perennemente in uno stato di infelicità pur essendo oberata di
beni materiali. Occorre aggiungere che col passare del tempo i
beni di comfort danno assuefazione come accade per qualsiasi tipo di
droga, così aumenta il costo dei cambiamenti degli stili di vita che
si auto rafforzano. Come spiega Scitovski nel 1996, tutto ciò
succede perché i soggetti non riescono a capire in tempo utile che i
miglioramenti nel comfort non comportano miglioramenti di felicità.
2.4. Il PIL: un “falso” indicatore del benessere
Verso
la fine del XVIII si realizza un passaggio fondamentale nel mondo
economico, infatti mediante il contributo di Jeremy Bentham si
realizza una “fuga” dall’economia civile e si ha che la
felicità diventa “utilità” che equivale a “piacere”.
Infatti nella sua opera fondamentale “An Introduction of the
Principles of Moral and Legislation” le parole “happiness”,
“utility” e “pleasure” si equivalgono, in questo modo si
ha che nel corso del ‘800 e del ‘900 la scienza economica
neoclassica si è gradualmente allontanata dal concetto di felicità
per occuparsi più semplicemente di utilità individuale determinata
da preferenze individuali. L’utilità così diventa una misurazione
cardinale della felicità, perciò questa è aggregabile mediante la
somma e di conseguenza è possibile misurare il benessere sociale
attraverso la somma delle utilità individuali degli individui.
Questa teoria economica venne molto enfatizzata nel corso del ‘900,
tanto che dal secondo dopoguerra si iniziò ad utilizzare il Pil come
indicatore di salute per un intero Paese. Il Prodotto Interno Lordo è
il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno dei
confini del Paese in un certo periodo di tempo. Non si considerano
quindi le transazioni intermedie. Già dalla definizione possiamo
capire i limiti di questo indicatore che è risultato inadeguato.
Nonostante stimi la crescita attraverso le vendite nette di beni e
servizi, istruzione e fatturato della sanità, questo indicatore non
tiene conto delle differenze tra i più ricchi e i più poveri, dei
costi sociali e ambientali come i crimini, i disastri, inquinamento,
inoltre vengono anche ignorate le economie non di mercato come ad
esempio il volontariato. Gli USA ad esempio, sono il Paese con il Pil
più vasto dal Dopoguerra a oggi, ma presenta dati fra i peggiori
dell’OCSE quanto a patologie infantili derivanti da obesità oltre
a costi sanitari doppi rispetto all’Europa. Vedremo nel prossimo
paragrafo come risolvere i limiti del PIL.
2.4.1. La Commissione Stiglitz - Sen – Fitoussi
Vista
la delusione generale sullo stato attuale dei dati statistici
riguardanti l'economia e la società, nel febbraio 2008, il
Presidente francese Sarkozy, ha chiesto, a Joseph Stiglitz, Amartya
Sen e Jean Paul Fitoussi di creare una Commissione, in seguito
denominata «Commissione per la misurazione del rendimento economico
e progresso sociale".
L'obiettivo
della Commissione è stato quello di determinare i limiti del PIL
come indicatore del rendimento economico e progresso sociale,
compresi i problemi della sua misurazione; di esaminare quali
ulteriori informazioni possono essere individuate per la produzione
di indicatori più pertinenti del progresso sociale, valutando la
creazione di strumenti di misura alternativa e la loro concreta
attuazione. La Commissione ha analizzato ed elaborato raccomandazioni
non solo sulla misurazione statistica del benessere della società,
ma anche sulla qualità o il valore della vita, e la sostenibilità
di un livello di vita.
La
relazione identifica i difetti nei metodi per misurare la ricchezza e
il benessere sulla base del PIL e PNL e suggerisce i cambiamenti che
dovrebbero comprendere una maggiore attenzione alla distribuzione del
reddito, i redditi delle famiglie e il consumo di beni e servizi
fondamentali, ma anche a settori come la sanità, l'istruzione,
l'ambiente e i cambiamenti climatici e la felicità come componenti
dello sviluppo. In questo modo, sono state individuate dalla
Commissione le principali dimensioni che condizionano il benessere
che sono: reddito, salute, istruzione, attività personali (incluso
il lavoro), governo, relazioni sociali, ambiente (presente e
futuro), insicurezza legata all’economia e all’ambiente.
Su
tale base, la relazione chiede di rivolgere l’attenzione ad un
sistema incentrato sul benessere delle generazioni attuali e future,
piuttosto che ad un sistema orientato sulla misurazione della
produzione. Questo significa passare da misurare la produzione
economica alla misurazione del benessere dei cittadini in un contesto
globale di sostenibilità.
Una
delle componenti essenziali da prendere in considerazione, secondo il
rapporto della Commissione, è la sostenibilità. La sostenibilità
coinvolge non solo il presente, ma anche il futuro; essa è
condizionata dall’interazione degli aspetti socio-economici e
dall’impatto dei modelli dei differenti paesi. La sostenibilità è
una questione che riguarda il benessere e la performance economica,
ma deve essere esaminata separatamente, per non generare confusione
tra i singoli indicatori. Per valutare la sostenibilità occorre
guardare simultaneamente alla conservazione e crescita in “stocks”
delle quantità e qualità di risorse naturali e umane, e di capitale
sociale e fisico.
La
Commissione vuole fornire una guida diretta a responsabilizzare tutti
i tipi di organizzazioni sull'impatto delle loro attività sulla
società e sull'ambiente e ad incoraggiare un comportamento
rispettoso delle leggi e improntato a principi etici. L'obiettivo è
di mantenere uno sviluppo economico adattabile agli ecosistemi,
garantendo un equilibrio
ambientale. In definitiva la sostenibilità è uno sviluppo che
soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità
delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
2.5. La tesi di Wilkinson e Pickett: il benessere dipende dall’eguaglianza
Molto
interessante la tesi di Wilkinson e Pickett i quali considerando i
Paesi ricchi, quelli in cui il reddito è distribuito in modo
diseguale mostrano risultati peggiori per una serie molto
significativa di indicatori sociali di benessere come disagio mentale
incluse le dipendenze da alcool e droga, mortalità infantile e
malattie, obesità, gravidanze in adolescenza, omicidi, mobilità
sociale. Dalla loro opera “La misura dell’anima” si denota che
i Paesi più diseguali mostrano risultati peggiori, anche se
riguardano Paesi più ricchi. Infatti, gli USA sono un Paese molto
ricco, ma soffrono di problemi sanitari e disagi sociali sopra
elencati molto più di Spagna, Grecia e Italia che hanno un reddito
procapite molto più basso. L’Italia è sesta nella classifica dei
più diseguali e va meglio di Germania, Francia e Austria per quanto
riguarda i problemi sanitari. I Paesi con meno disparità sono
Giappone, Finlandia, Norvegia, Danimarca e da quest' opera si evince
che se si diminuisce la disparità è possibile accrescere la qualità
della vita di tutti. Per ridurre le diseguaglianze, in Svezia, hanno
scelto un meccanismo redistributivo di imposte e sussidi e in
Giappone hanno conseguito una maggiore uniformità di redditi di
mercato al lordo delle imposte.
In
conclusione possiamo affermare che questa tesi si avvicina molto
all’ipotesi di reddito relativo, ossia i due studiosi per spiegare
stati d’animo e comportamenti contano i confronti, le differenze,
non i valori assoluti, cioè la ricchezza o la povertà in se e per
se.
2.6. Thaler e Sunstein: la “spintarella”
In
futuro il metodo migliore sarà il “nudge”, ossia la gentile, ma
convincente spinta a fare le scelte giuste senza imporle e questi due
autori americani hanno enununciato questa teoria nella loro opera
intitolata “Nudge” uscito nel 2009. Thaler, nonostante provenga
dalla scuola di Chicago, non crede più alla capacità autoregolante
del mercato; Sunstein, di formazione costituzionalista, prima di
convincersi che la liberta di scelta e la ricerca della felicità
enunciata nella Costituzione possono portare a scelte sbagliate per
il cittadino, era un supporter di Bush e Greenspan. La soluzione
migliore secondo i due autori è la “spintarella” che convince a
fare le scelte migliori, salvando l’autonomia delle parti ossia una
sorta di “liberismo paternalista”. Ad esempio gli americani non
risparmiano abbastanza perché non vedono il vantaggio nel risparmio,
ma se le aziende proponessero ai dipendenti un programma nel quale
dal loro stipendio viene prelevata una trattenuta progressivamente
più alta con la crescita dello stipendio, accantonata a tassi sempre
migliori, gli americani risparmierebbero di più, tanto che nelle
aziende che ci hanno provato il risparmio è triplicato. L’esperienza
dimostra che il cittadino di fronte a troppe scelte tende a rinviare
a buttarsi sulla prima che vede pur di non perdere la testa ed è
inutile imporre norme se vi è questa confusione. Quindi “spintarelle
garbate” in un sistema politico che garantisca la libertà di
azione, ma non abbia timore nell’indicare quali siano le scelte
giuste e le scelte sbagliate. Questo libro è stato letto molte volte
da Obama che e l’ha anche portato in campagna elettorale; Obama
l’ha trovato convincente a tal punto che ha chiamato proprio
Sunstein a ridisegnare il quadro delle regole del gioco economico
nazionale, siccome le precedenti norme, come abbiamo potuto osservare
negli ultimi anni, sono risultate inadeguate.
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