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giovedì 6 settembre 2012

Felicità ed economia: seconda puntata

Colonna sonora consigliata per l'articolo:
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"La felicità si ha solo con e grazie agli altri."


È molto interessante sapere che il primo grande economista della storia fu Aristotele, il quale fu il primo ad occuparsi della relazione tra felicità ed economia: infatti egli enunciava che l’economia (dal greco “governo della casa”) è un mezzo molto importante per emancipare l’uomo dai bisogni che più lo avvicinano all’animale, permettendogli di dedicarsi completamente alla
vita pubblica.
Diversamente da ciò che ci raccontano i libri di storia, la felicità o meglio la “pubblica felicità” non è un prodotto dell’illuminismo francese, poi esportato in Italia e in tutto il mondo, bensì il termine felicità pubblica compare nel libro di Ludovico Antonio Muratori intitolato “Della pubblica felicità”. In questo libro, possiamo trovare la tesi principale dell’umanesimo civile nella quale si enuncia che “l’interesse privato non si risolve naturalmente in pubblica felicità essendo questa il frutto di virtù civili”[1]. Possiamo affermare, quindi, che la tradizione della pubblica felicità è una “creazione culturale” dell’umanesimo civile italiano: esattamente, Muratori scrive il libro sopracitato nel 1749 qualche anno prima dell’Encyclopédie e delle sue voci economiche che introducono in Francia e in tutto il mondo il tema della felicità pubblica come il grande programma culturale sociale dell’illuminismo.
Da Muratori in avanti, le diverse scuole italiane come la napoletana, la toscana, la veneziana e, principalmente, la milanese, l’espressione “pubblica felicità” diventò lo slogan della nascente scuola italiana di economia civile. Occorre specificare che l’aggettivo pubblico ha un significato molto importante perché si tende a riconoscere che, diversamente dalla ricchezza, la felicità si ha solo con e grazie agli altri. Occorre aggiungere che questa felicità è pubblica perché riguarda non tanto la felicità dell’individuo singolo in quanto tale,ma anche le precondizioni istituzionali e strutturali che permettono ai cittadini di sviluppare la loro felicità individuale, ossia precondizioni per far sì che ciascuno possa fiorire come persona. Inoltre, la felicità è pubblica perché riguarda il bene comune che deve diventare l’ideale del buon governo del sovrano.
Possiamo affermare che l’approccio italiano all’idea di felicità riguardo al suo stretto rapporto con le virtù civili e la sua logica paradossale, è un elemento fondamentale che si differenzia nettamente rispetto agli autori di oggi influenzati dalla filosofia edonista e sensista senza essere ispirati alla tradizione umanista, perché, infatti, la felicità della tradizione dell’economia civile è il bene comune e doveva diventare l’ideale e l’obiettivo del buon governo del sovrano, come affermava Antonio Genovesi. Nei prossimi paragrafi verranno spiegati i paradossi della felicità, che portano a dei risultati che di primo acchito poche persone immaginano.


[1] Bruni e Zamagni (2004). Economia civile. Il Mulino, Bologna, pp. 67.

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