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"La felicità si ha solo con e grazie agli altri."
"La felicità si ha solo con e grazie agli altri."
È molto interessante
sapere che il primo grande economista della storia fu Aristotele, il quale fu
il primo ad occuparsi della relazione tra felicità ed economia: infatti egli enunciava
che l’economia (dal greco “governo della casa”) è un mezzo molto importante per
emancipare l’uomo dai bisogni che più lo avvicinano all’animale, permettendogli
di dedicarsi completamente alla
vita pubblica.
vita pubblica.
Diversamente da ciò che
ci raccontano i libri di storia, la felicità o meglio la “pubblica felicità”
non è un prodotto dell’illuminismo francese, poi esportato in Italia e in tutto
il mondo, bensì il termine felicità pubblica compare nel libro di Ludovico
Antonio Muratori intitolato “Della pubblica felicità”. In questo libro,
possiamo trovare la tesi principale dell’umanesimo civile nella quale si
enuncia che “l’interesse privato non si risolve naturalmente in pubblica
felicità essendo questa il frutto di virtù civili”[1].
Possiamo affermare, quindi, che la tradizione della pubblica felicità è una
“creazione culturale” dell’umanesimo civile italiano: esattamente, Muratori
scrive il libro sopracitato nel 1749 qualche anno prima dell’Encyclopédie e delle sue voci economiche
che introducono in Francia e in tutto il mondo il tema della felicità pubblica
come il grande programma culturale sociale dell’illuminismo.
Da Muratori in avanti,
le diverse scuole italiane come la napoletana, la toscana, la veneziana e,
principalmente, la milanese, l’espressione “pubblica felicità” diventò lo
slogan della nascente scuola italiana di economia civile. Occorre specificare
che l’aggettivo pubblico ha un significato
molto importante perché si tende a riconoscere che, diversamente dalla
ricchezza, la felicità si ha solo con
e grazie agli altri. Occorre aggiungere che questa felicità è pubblica
perché riguarda non tanto la felicità dell’individuo singolo in quanto tale,ma
anche le precondizioni istituzionali
e strutturali che permettono ai cittadini di sviluppare la loro felicità
individuale, ossia precondizioni per far sì che ciascuno possa fiorire
come persona. Inoltre, la felicità è pubblica perché riguarda il bene comune
che deve diventare l’ideale del buon governo del sovrano.
Possiamo affermare che
l’approccio italiano all’idea di felicità riguardo al suo stretto rapporto con
le virtù civili e la sua logica paradossale, è un elemento fondamentale che si
differenzia nettamente rispetto agli autori di oggi influenzati dalla filosofia
edonista e sensista senza essere ispirati alla tradizione umanista, perché,
infatti, la felicità della tradizione dell’economia civile è il bene comune e
doveva diventare l’ideale e l’obiettivo del buon governo del sovrano, come affermava
Antonio Genovesi. Nei prossimi paragrafi verranno spiegati i paradossi della
felicità, che portano a dei risultati che di primo acchito poche persone
immaginano.
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