Colonna sonora consigliata per l'articolo:
http://www.youtube.com/watch?v=EIdc0NGumVc
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La classe dirigente al crepuscolo ha vissuto ieri un’altra delle sue surreali giornate.
La Giunta per il regolamento della Camera ha respinto la proposta del
presidente Fini di affidare la certificazione dei bilanci dei gruppi
parlamentari a una società esterna. Perché scomodare degli estranei
quando gli onorevoli deputati possono giustificare le proprie magagne
benissimo da soli? Tanto più che la certificazione esterna li obbligherebbe a garantire la
tracciabilità delle spese. Addio a contanti
e fuori busta, e instaurazione della dittatura delle ricevute e delle
carte di credito. Una scelta da Paese civile, quindi oltremodo
antipatica ma fortunatamente scongiurabile, a patto che il controllo
venga lasciato a chi ha davvero i titoli per esercitarlo: i controllati.
Naturalmente non è questa motivazione prosaica ad avere impreziosito le
relazioni dei membri della Giunta. Essi hanno preferito appigliarsi alla
Costituzione, alla democrazia e alla libertà. Ma appena il frutto delle
loro cogitazioni è finito sulle agenzie di stampa è scoppiato il
pandemonio. I più lesti ad accorgersene sono stati due democristiani -
Casini dell’Udc e Franceschini del Pd - che fiutando la rabbia degli
elettori di centro e di sinistra si sono affrettati a smentire i propri
rappresentanti in Giunta, dicendo che mai e poi mai avrebbero accettato
una simile riforma consociativa e che anzi si sarebbero adoperati per
fare certificare all’esterno i bilanci dei loro gruppi parlamentari.
Nessun segnale apprezzabile è venuto invece dal Pdl, nonostante i suoi
elettori siano persino più arrabbiati degli altri. Il partito che fu di
Berlusconi ha preferito osservare l’ennesimo minuto di silenzio in morte
di se stesso.
Alla fine il nuovo strappo fra Palazzo e Paese è stato in parte
scongiurato e, fra un inciampo e un tentennamento, la Casta continua la
sua opera di redenzione fuori tempo massimo. Cavour ammoniva che le
riforme vanno fatte un attimo prima che i cittadini ne avvertano
l’esigenza. Invece l’autoriforma della politica sta avvenendo in
ritardo, a singhiozzo, e solo per il costante stimolo dell’opinione
pubblica. Appena giornali e associazioni si distraggono un attimo,
quelli ci riprovano. E quando la magistratura scoperchia gli scandali
come alla Regione Lazio, imponendo uno scatto quantomeno di dignità,
alle promesse iniziali di sfracelli seguono brodini caldi che ancora
qualche tempo fa ci sarebbero apparsi saporiti, ma adesso risultano
inesorabilmente sciapi. Se Renata Polverini avesse bloccato la
proliferazione (con relativi benefit) dei gruppi consiliari composti da
una sola persona o avesse tagliato le ventotto auto blu del garage
laziale quando tutti glielo chiedevano, avrebbe raccolto consensi. Oggi
che di auto ne toglie ventitré, i cittadini non applaudono. Semmai
guardano con dispetto alle cinque rimaste, immaginando che serviranno a
saziare i bisogni mobili del presidente del Consiglio regionale
Abbruzzese, quel tizio impermeabile alla vergogna che ha dichiarato al
nostro giornale di avere urgente necessità di due vetture sovvenzionate
dai contribuenti, una per muoversi a Roma nel corso della settimana e
l’altra per curare il collegio elettorale di Cassino durante il weekend.
La sensazione è che, malgrado gli sforzi dei politici più avveduti,
all’opera anche ieri, il rapporto di fiducia fra questa classe politica e
il Paese sia saltato definitivamente. Ormai basta un equivoco o un
dettaglio sospetto - il classico capello sulla giacca che allarma la
moglie più volte tradita, dunque diffidente - perché il disgusto, la
nausea e la disistima tornino a prendere il sopravvento. Il ricambio
della nomenclatura di destra e di sinistra non è un capriccio populista,
ma la condizione perché gli italiani ricomincino a fidarsi dei loro
rappresentanti. Per tentare di restituire alla politica il prestigio
perduto non è rimasto che un modo: cambiare le persone che la fanno.
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Una volta le persone indegne venivano mandate in esilio senza ritorno
RispondiEliminacosa aspettiamo a indire un referendum per ripristinarlo. VITTORIO
PS Ci sarebbe l’isola di Pianosa
Penso che sia sufficiente ha contenere tutti i Politici disonesti.
Nel caso in cui non basti l'Isola di Pianosa, troveremo altre isole per contenerli. Ovviamente , pane acqua e lavori forzati; sono convinta che, su un'isola, senza i loro yacht tamarri (ed escort al seguito, of course) si sentirebbero moooooolto male.
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